All’angolo con Via Cappuccini l’unica strada di accesso a Gradara incrocia una delle numerose torri merlate della cinta muraria più esterna del castello, quella che circonda il borgo. La torre a sud ovest svetta subito allo sguardo creando una profonda prospettiva verso la strada che porta al convento dei Cappuccini per la presenza delle mura possenti di ovest. 

Ma oggi godiamo della vista di questa cinta muraria grazie a due personaggi che ne hanno segnato la sorte. Il primo negli anni ’20 del ‘900: un appassionato di storia e di arte, Umberto Zanvettori, arriva a Gradara se ne innammora e la  compra. Trova le mura in rovina e le  ristruttura  perché accentuino la reintepretazione scenografica  del castello medioevale secondo un gusto neogotico ispirato a D’annunzio. Negli anni ‘50 invece un imprenditore, Delio Bischi, intuisce le potenzialità turistiche del paese e pensa subito ad illuminarle, perché fossero visibili dalla riviera romagnola. 

Lo sviluppo economico legato al  turismo porta la popolazione progressivamente fuori dalle mura, per sviluppare attività legate all’accoglienza del turisti: chi ha dello spazio libero lo offre per parcheggiare, qualcuno comincia a preparare pizze e piadine, diventa necessaria la pompa di rifornimento per il carburante, in molti arrivano con moto o addirittura pulman e la via diventa un’area di parcheggio;  anche il mercato ha più spazio fuori dal borgo. 

In basso, in quella direzione, un tratto dell’antica via Flaminia che  metteva in comunicazione Rimini e Roma, ha visto sorgere un nucleo abitativo ancora oggi riconoscibile a Colombarone, che conserva un raro esempio di villa romana tardoimperiale e testimonianze della basilica paleocristiana di San Cristofaro.

Dal passaggio di genti venivano scambi, ma anche pericoli. La via Flaminia è stata un via fondamentale per i commerci e per gli spostamenti, ma sono ampiamente documentate le preoccupazioni, gli editti, i provvedimenti destinati a contenere i pericoli che si incontravano durante i viaggi. E’ attestata la necessità della presenza di un ospedale, che potesse soccorrere i bisognosi. E le preoccupazioni delle persone che abitano la zona rispetto alla delinquenza e al malcostume dilaganti si trasforma ciclicamente in richiesta di autonoma nella gestione del proprio territorio:  anche a Vittoria Farnese, che viene indicata come uno dei  governanti a cui sta più a cuore Gradara, viene chiesta l’intercessione perché i della Rovere concedano statuti autonomi alla cittadina. 

Solo potendo intervenire autonomamente si poteva pensare di debellare il malcostume. Anche Annibale degli Abati Olivieri parla del malcostume dilagante: non solo per la presenza di banditi, magari facilitati dal fatto di sapere che esisteva una stazione di posta nelle vicinanze  per sostare e ferrare i cavalli che infatti era una attrattiva per i banditi; ma anche per la situazione  aggravata dal fatto che le eccessive tasse impedivano l’apertura di osterie e quindi l’area era libera da particolari controlli. Ma le tasse troppo alte favoriscono anche un altro tipo di illegalità: si diffonde l’uso di vendere i prodotti della terra a paesi confinanti, come Cattolica e Gabicce che pagavano meglio il vino e il pane, nascondendolo agli abitanti. L’Olivieri scrive addirittura che non si potesse escludere che tale contrabbando avvenisse con la complicità del consiglio in carica. Non ultima delle piaghe dell’illegalità era poi il gioco, diffuso nelle botteghe, nonostante i ripetuti tentativi di proibirlo, e praticato addirittura da ecclesiastici.