Quando lo scultore Nino Caruso è stato chiamato a realizzare un Monumento alla Resistenza il cavalcavia sopra la ferrovia non esisteva. 

Questa considerazione è fondamentale per capire che quando  l’artista ha pensato alla collocazione di un punto simbolico di così alto valore  ha scelto uno spazio urbano che collegava la stazione dei treni con il teatro e il centro della città, ma pure con quell’area che, abbattuta la Porta Cappuccini, aveva aperto Pesaro ad una delle direzioni di espansione. 

Lo inaugura nel 1964 e utilizza un linguaggio non figurativo. Sceglie pezzi di ferro prelevati dai cantieri navali, allora così produttivi, e riconverte quel materiale a finalità espressive, lasciando che le punte si staglino verso l’alto ma che fungano anche da pali, che costruiscono uno spazio allo stesso tempo aperto e chiuso, visto che delinea una piazza; un luogo raccolto intorno al muro modulare, cioè fatto di blocchi tutti uguali, su cui è stagliato il ricordo ai caduti. Ma da quella struttura  è anche possibile entrare ed uscire attraverso quattro direzioni diverse. Perché vale la pena ripetere una ovvietà: la scultura non è solo la parte in ferro o quella in muratura, ma è tutta l’area. anche quella verde.  

Sulle punte di ferro della struttura centrale dell’opera il passaggio del tempo è visibile, cambia il colore del materiale che lo mostra con orgoglio. Il materiale è segno dal tempo, volutamente e non per incuria, come qualcuno si ostina a dire, è un materiale che esprime attraverso la sua stessa natura una emozione non per tutti uguale ma per ognuno molto forte: perché la ruggine e le variazioni di erosione e di colore del ferro raccontano di un flusso di vita che continua e si trasforma, mantenendo vivi e fermi i valori che essi rappresentano in questa scultura. L’espressività della ruggine più di mille descrizioni racconta del passaggio del tempo e delle trasformazioni di tutte le cose, accentuando la drammaticità di questa verità. 

Oggi il senso e il ricordo a cui l’opera fa riferimento permangono solo nel giorno ad essi dedicato e lo spazio è diventato un luogo di passaggio veloce e distratto, a volte evitato dai cittadini per incontri che si preferisce evitare. I nuovi frequentatori, infatti, purtroppo difficilmente percepiscono il significato del luogo in cui sostano. Ma i pesaresi ricordano di averlo vissuto diversamente da bambini, come spazio verde in cui giocare e passeggiare, come uno spazio che, vissuto consapevolmente dagli adulti e meno coscientemente dai bambini, era comunque una parte  piacevole della città.